Energia Libera - Eccone una modalità

giovedì 28 agosto 2014

Produzione d'idrogeno a basso costo

       La produzione di idrogeno a basso costo per ricaricare le celle a combustibile delle auto elettriche potrebbe non essere più un miraggio. Un team di ricercatori di Stanford guidati da Hongjie Dai ha, infatti, messo a punto un rivoluzionario processo che permette di estrarre ossigeno dall’acqua utilizzando catalizzatori in nichel e ferro e l’energia fornita da una comune pila stilo.
 
COME SI FA' L'IDROGENO
 


        Lidrogeno impiegato, oggi, nelle celle a combustibile é ottenuto a partire dal gas naturale e quindi, di fatto, è ancora una fonte di energia di origine fossile.

         L’idrogeno può essere, però, ottenuto anche a partire dall’acqua mediante elettrolisi. Dal punto di vista fisico di tratta di un processo piuttosto semplice: basta immergere nell’acqua pura due elettrodi e far passare al loro interno della corrente elettrica. Le molecole di acqua si scinderanno in idrogeno e ossigeno: il primo si raccoglierà attorno all’elettrodo negativo (il catodo), il secondo attorno all’elettrodo positivo (anodo).

Per funzionare in maniera efficiente e a basse tensioni è però necessario che i due elettrodi siano fatti di platino o iridio, materiali preziosi che nel corso del processo si consumano e devono essere sostituiti rendendo così il processo costoso e poco interessante dal punto di vista industriale.
 
NE' D'ORO NE' DI PLATINO

        Hongjie Dai ed i suoi colleghi sarebbero, però, riusciti a ottenere idrogeno per elettrolisi, a basso voltaggio, utilizzando elettrodi in nichel e ferro, materiali a basso costo e facilmente reperibili.   
           Il loro processo sarebbe così efficiente da funzionare addirittura con la sola corrente di una pila stilo. Il principio fisico sul quale si fonda questo progetto però non è ancora stato compreso, ma di sicuro di tratta di un notevole progresso nello sviluppo di fonti di energia rinnovabili: “Applicato su scala industriale potrebbe far risparmiare miliardi di euro in metalli preziosi e corrente elettrica” si legge nello studio pubblicato sull’ultimo numero di Nature Communications.
 
GUIDARE H2
 
        Nel frattempo, l’auto ad idrogeno diventa una realtà guidabile, almeno oltreaceano. Invero,  nelle scorse settimane, Hyundai ha consegnato, nella California meridionale, i primi esemplari del suo suv iX35 alimentato a celle a combustibile. Per ora, esso verrà offerto solamente in leasing, a poco più di 300 euro al mese, per tre anni, comprensivi di pieni illimitati d'idrogeno e manutenzione.
         Le vetture coreane si affiancano alle FCX Clarity di Honda, berline a 4 posti, lanciate sul mercato californiano già dal 2008. Il costo? Circa 400 euro al mese, sempre con la formula del leasing.

venerdì 30 novembre 2012

Aerospazio: energia dall'idrogeno


Lapcat, l'aereo a idrogeno
L'aereo del futuro si chiama “L.A.P.C.A.T.” A2, acronimo di "Long-term Advanced Propulsion Concepts And Technology, frutto di un progetto europeo finanziato al 50% dall’Europa.  E' un invenzione "Made in England", opera della "Reaction Engines", un'azienda di Oxford, la cittadella del sapere universitario e di tante piccole e medie industrie ad alta tecnologia. Sembra un missile, non avendo oblò, a causa della molto elevata differenza di pressione con l'esterno, che subirà in volo e sarà alimentato ad idrogeno, liberando i "nostri cieli" dall'elevato ed innominato smog dei combustibili odierni. Sviluppato  dalla REL (Reaction Engines Limited) ed approvato dall'Agenzia Spaziale Europea, esso potrà imbarcare fino a 300 passeggeri, che da Parigi a Sidney impiegheranno circa 4,6 ore (il tempo impiegato oggi per un volo da Roma a Mosca), viaggiando ad un altitudine massima di 35 km dal suolo e ad una velocità MACH 5, cioé ad una velocità 5 volte superiore a quella del suono. Ciò cambierà radicalmente la vita dell'uomo del XXI secolo, così come il motore dei Jet ha cambiato quella dell'uomo del XX secolo, rivoluzionando i trasporti turistici e commerciali sulla terra, ma anche quelli al di fuori del nostro pianeta.
Lapcat, l'aereo a idrogeno
Lapcat, l'aereo a idrogeno
Grazie ai suoi 4 motori ad idrogeno (Sabre), in grado di raffreddare l'aria da 1.000 a -150 gradi centigradi in un centesimo di secondo, senza il rischio di surriscaldamento, il L.A.P.C.A.T. A2 non immetterà in atmosfera anidride carbonica (C02), responsabile dell’effetto serra ed altri gas inquinanti. Il costo del biglietto sarà quello che si paga, oggi, per una normale business class, sempre grazie all’economicità dell’idrogeno rispetto ai carburanti utilizzati attualmente: circa 4000 euro, destinati a scendere dopo la messa in esercizio dei primi esemplari. La prima fornitura dovrebbe avvenire nei prossimi 13 anni e sarà di cento velivoli.

sabato 28 aprile 2012


ENERGIA E VIAGGI NELLO SPAZIO INTERSTELLARE, UN FUTURO MOLTO BEN NOTO




LA TEORIA DELLA CURVATURA



I limiti della propulsione ad impulso


Iniziamo ad indagare la possibilità di viaggi spaziali interstellari affrontando le dinamiche che stanno alla base della propulsione ad impulso, utilizzata, ai giorni nostri, dalle navicelle spaziali (ad esempio, gli Shuttles).

La propulsione ad impulso è fondata sulla terza legge della dinamica classica (non relativistica), conosciuta come principio di azione e reazione: ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria.

In altre parole, ogni volta che ad un corpo viene applicata una determinata forza, si genera per reazione una forza di pari intensità, stessa direzione e verso opposto che provvede a spingere il corpo imprimendogli un certo momento lineare.

A questo punto è bene richiamare, per completezza di comprensione, le altre due leggi della dinamica classica.

Secondo la prima (principio di inerzia), ogni corpo tende a conservare il proprio stato di quiete (o di moto rettilineo uniforme), sino all'intervento di una forza esterna che modifichi tale stato. L'inerzia può essere dunque definita come la resistenza che un corpo oppone alla variazione del suo stato di quiete o di moto.

La seconda legge della dinamica classica afferma invece che applicando una forza ad un corpo, lo stesso subisce un'accelerazione direttamente proporzionale alla forza medesima, e inversamente proporzionale alla propria massa(F = ma).
Questa legge è importante perché definisce il concetto di massa inerziale, ossia di resistenza all'accelerazione: la stessa forza genera accelerazioni uguali in corpi di masse uguali e diverse in corpi di masse diverse.

Approfondimento 1 - I diversi tipi di massa
La massa può essere definita in diversi modi; la nozione più comune la definisce come quantità di materia contenuta in un corpo. La massa inerziale è, come visto, la resistenza che oppone un corpo alle variazioni del suo stato di quiete o di moto. La massa gravitazionale indica l'attrazione esercitata su o da altre masse. In proseguo sarà illustrato il concetto di massa relativistica, che può essere approssimativamente definita come la resistenza opposta da un corpo ad essere accelerato a velocità prossime a quelle della luce; a differenza della massa inerziale e di quella "sostanziale", che sono costanti, la massa relativistica varia al variare della velocità.


Muovere un oggetto nello spazio comporta diversi vantaggi rispetto al movimento sulla superficie di un pianeta: l'assenza di attrito atmosferico e di campi gravitazionali comporta che, una volta impressa una determinata velocità, l'oggetto la conserverà indefinitamentesenza che sia necessario impiegare energia per mantenerla.


Approfondimento 2 - Precisazioni su campi gravitazionali e attriti 
Si noti che il campo gravitazionale non è mai nullo in alcun punto dell'universo, ma poiché decresce in ragione del quadrato della distanza dalla fonte, ad una certa distanza dalla medesima gli effetti divengono trascurabili. Per quanto riguarda l'attrito atmosferico, la densità media dello spazio "vuoto" è di circa un atomo di idrogeno per metro cubo, valore anch'esso del tutto trascurabile.


Supponiamo di essere a bordo di un veicolo spaziale e di attivare i motori ad impulso: il sistema di propulsione preleverà del combustibile fossile o altra fonte di energia (probabilmente nucleare) dai serbatoi e lo scalderà. Otterremo così del gas da eiettare dagli ugelli ad altissima velocità, che per reazione sposterà la navetta nella direzione opposta: in avanti se usiamo gli ugelli posteriori, a destra se usiamo quelli di sinistra, eccetera. Una volta raggiunta la velocità desiderata, ad esempio 1000 m/s, possiamo spegnere i motori e la navetta manterrà invariata tale velocità (nonché la direzione), sinché non interverremo sui comandi. Tutto facile dunque. Sì, se ci accontentiamo di percorrere brevi distanze. Ma se vogliamo raggiungere un'altra stella, le cose diventano terribilmente complicate!

Cominciamo con il più famoso limite di velocità dell'universo, quello della luce (o, in generale, della radiazione elettromagnetica): circa 300.000 Km al secondo nel vuoto (indicato comunemente con la lettera c). Se avete una vaga idea delle dimensioni dell'universo (diametro: circa 30 miliardi di anni luce), della nostra galassia (diametro: circa 100.000 anni luce), o della distanza dalla stella più vicina (che nel caso del Sole è Proxima Centauri, lontana circa 4,3 anni luce), appare evidente come tale velocità sia troppo modesta per percorrere simili distanze in tempi accettabili.


Approfondimento 3 - Anni luce
Un anno luce è la distanza percorsa da un raggio di luce in un anno solare terrestre, ossia circa 9.460.800.000.000 chilometri.


Ma perché non è possibile andare più veloci? Per rispondere a questa domanda dobbiamo richiamare alcuni principi di fisica relativistica.

Si è già parlato del concetto inerziale di massa, comunemente usato nella fisica classica. La caratteristica fondamentale della massa così intesa è che essa resta costante, invariante: perciò, in linea di principio, non ci sarebbero limiti alle velocità che è possibile raggiungere, a patto di disporre dell'energia sufficiente. Purtroppo non è così: quando si superano certe velocità occorre confrontarsi con un diverso concetto di massa, quella relativistica, che a differenza della prima non è costante, ma aumenta all'aumentare della velocità: i corpi, insomma, si oppongono ad essere accelerati a velocità prossime a quelle della luce, e tanto più ci si avvicina a tale velocità, tanto più difficile diventa accelerare ulteriormente, come se il corpo diventasse "più massiccio". Detto aumento di massa segue una legge matematica ben precisa, che comporta la necessità di una quantità infinita di energia per raggiungere la velocità della luce, la quale risulta pertanto irraggiungibile e insuperabile.


Approfondimento 4 - Massa relativistica
Per basse velocità la massa inerziale della fisica classica coincide sostanzialmente con quella relativistica: a 400 km/s la differenza tra le due masse è pari a circa un milionesimo. A velocità prossime a quella della luce la massa relativistica aumenta rapidamente, secondo questa relazione:
M0
M = ________________________    
V2
(1 - ________    )1/2
c2

dove M è la massa relativistica, M0 è la massa inerziale, V è la velocità, c è la velocità della luce. Appare evidente che ad alte velocità, ossia quando V ha valori abbastanza vicini a c, la massa relativistica aumenta in modo rilevante, e quando V = c, M assume un valore infinito. Appare inoltre evidente come per ottenere accelerazioni sempre maggiori siano necessarie quantità di energia sempre crescenti: è necessaria molta più energia per passare da 0,9999991 c a 0,9999992 c che non da 0,1 a 0,2 c!


La conseguenza evidente di tale principio è che la propulsione ad impulso diventa terribilmente costosa alle alte velocità: occorrono immense quantità di propellente per raggiungere velocità vicine a quella della luce (che è sempre troppo poco, come detto, per le nostre esigenze), per tacere del fatto che il propellente fa parte della massa da muovere, per cui, anche disponendo di un enorme serbatoio pieno di deuterio, occorre fare i conti con la sua massa relativistica, e prima ancora con quella inerziale. La propulsione ad impulso ad alte velocità, insomma, è una sorta di serpente che si morde la coda.

La massa, inoltre, non è l'unica grandezza non più costante alle alte velocità: un altro problema da affrontare nei viaggi spaziali a velocità relativistiche è difatti la dilatazione del tempo. Il tempo non scorre in modo uniforme per tutti gli osservatori, al contrario di quanto postulato dalla fisica classica, bensì tanto più lentamente quanto più l'osservatore che misura un dato evento si avvicina alla velocità della luce.


Approfondimento 5 - Dilatazione del tempo
Se ΔT è l'intervallo di tempo misurato da un osservatore in moto, e Δt è lo stesso intervallo di tempo (ossia, ad esempio, la durata di un certo evento) misurato da un osservatore in quiete rispetto al primo, detti intervalli non sono uguali (benché la differenza diventi significativa solo a velocità sufficientemente alte), bensì legati dalla seguente relazione:
Δt
ΔT = ________________________    
V2
(1 - ________    )1/2
c2

dove, a parte ΔT e Δt, le variabili hanno lo stesso significato dell'equazione di cui alla nota n. 5. Ne deriva che, al crescere della velocità, per l'osservatore in moto gli eventi avranno una durata sempre maggiore, rispetto alle misurazioni effettuate dall'osservatore in quiete. Inoltre, due eventi contemporanei per uno degli osservatori potrebbero non esserlo per l'altro. Va precisato che non si tratta di un effetto limitato agli strumenti di misura utilizzati (ad esempio, orologi), bensì relativo all'effettivo scorrere del tempo per i vari osservatori. Un famoso esempio per illustrare tale concetto è il cosiddetto paradosso dei gemelli: se un individuo compie un viaggio a velocità relativistiche, e il suo gemello resta a casa, al rientro il viaggiatore troverà il gemello (e il resto dell'universo) invecchiato molto più rapidamente; se per lui il viaggio è durato un anno, per il gemello potrebbero essere trascorsi invece diversi anni, o decenni, o secoli (a seconda delle velocità raggiunte). Ogni viaggio a velocità relativistiche è quindi anche un "viaggio nel tempo", e precisamente nel futuro... di chi resta.


Il motivo di questo fenomeno va ricercato nel fondamentale postulato posto a base della dinamica relativistica: l'invarianza della velocità della luce. Cerchiamo di chiarire il concetto; normalmente le velocità si sommano tra loro: se io, da una navetta in moto a 1000 km/s, lancio una sonda avente una velocità di 5 km/s, rispetto a me la sonda avrà detta velocità, ma un osservatore in quiete rispetto alla navetta misurerà invece una velocità di 1000 + 5 = 1005 km/s, poiché, giustamente (dal suo punto di vista), dovrà considerare anche la velocità che la sonda aveva prima di essere lanciata (ossia, la velocità della navetta). Le cose vanno invece diversamente quando in ballo vi è la velocità della luce (o di una qualunque radiazione EM): se io accendo le luci di navigazione della navetta, o invio un (antiquato) segnale radio, sia io, sia l'osservatore in quiete rispetto a me, sia qualunque altro osservatore dell'universo, misureremo tutti la stessa velocità di propagazione dell'onda: circa 300.000 km/s. Ora, poiché la velocità è definita, come è noto, come il rapporto tra lo spazio percorso e il tempo impiegato per percorrerlo (v = s/t), e poiché nel caso di specie tutti gli osservatori hanno misurato la stessa distanza e la stessa velocità, ne deriva che a variare deve essere il tempo, il quale, come detto, scorre in funzione della velocità dell'osservatore.


Approfondimento 6 - Invarianza della velocità della luce
L'invarianza della velocità della luce non è un semplice postulato fisico-matematico, ma un dato di fatto, convalidato da innumerevoli conferme sperimentali: la prima di esse, sulla Terra, risale al lontano 1887: due fisici inglesi, Albert Michelson e Edward Morley, nel corso di un celebre esperimento condotto alla Case School of Applied Science di Cleveland (USA), appurarono che la velocità della luce nella direzione del moto della Terra e quella ad angoli retti rispetto a tale moto erano esattamente le stesse. Numerosi esperimenti condotti nei secoli successivi hanno confermato l'esattezza di tale risultato.


Le conseguenze appaiono chiare: poiché ogni viaggio a velocità relativistica è anche un viaggio nel tempo (nel futuro), i costi di un simile viaggio sono elevatissimi non solo dal punto di vista economico (propellente), ma anche sotto il profilo sociale. Gli astronauti partirebbero con la consapevolezza di non rivedere mai più le loro famiglie, i loro parenti, i loro amici; al rientro, per contro, troverebbero una società profondamente diversa da quella che hanno lasciato, con intuibili problemi di reinserimento. L'astronauta tipo risulterebbe così essere un disadattato o un asociale, insomma un pessimo ambasciatore della sua specie! Ma non solo: un simile metodo di viaggio non potrebbe consentire l'esistenza di istituzioni interstellari, come un'ipotetica Federazione Unita dei Pianeti, fondate sugli scambi commerciali e culturali tra razze diverse, e che presuppongono un omogeneo livello di progresso tecnologico e sociale: omogeneità che non è compatibile con i tempi necessari ai viaggi interstellari così concepiti. Ma supponiamo, come è successo, di essere disposti a pagare i costi economici e sociali del viaggio a velocità relativistiche. I problemi sono tutt'altro che finiti, anzi! Quelli veramente seri iniziano proprio quando si parte, e sono tali da mettere a repentaglio la sopravvivenza dell'equipaggio.

Cominciamo dall'accelerazione: per raggiungere velocità prossime a quella della luce occorre, ovviamente, imprimere alla nave accelerazioni elevatissime. Il problema potrebbe essere risolto alla radice adottando ammortizzatori inerziali, ma appare improbabile che una società non ancora giunta alla tecnologia di curvatura possa sviluppare simili dispositivi.


Approfondimento 7 - Ammortizzatori inerziali
L'ammortizzatore inerziale è un dispositivo creato per proteggere l'equipaggio e il carico dagli effetti delle elevate accelerazioni. Il suo funzionamento è basato sul principio di (sostanziale) equivalenza tra massa inerziale e gravitazionale, e consiste nella generazione di campi gravitazionali polarizzati, compensanti esattamente le accelerazioni cui è sottoposta la nave per effetto dei propulsori a impulso, e annullanti in tal modo gli effetti inerziali delle masse libere poste a bordo della nave; ad esempio, se la nave viene accelerata in una certa direzione a 12 g (il g è l'unità di misura, sulla Terra, dell'accelerazione di gravità, ed è pari a 9,81 m/s), gli ammortizzatori inerziali produrranno immediatamente un campo gravitazionale di pari intensità nella direzione opposta, in ogni punto della nave. Gli occupanti della nave non sperimenteranno alcun effetto di variazione di velocità, in base al fondamentale principio della meccanica relativistica affermante che un sistema di riferimento, in moto traslativo uniforme rispetto ad un sistema inerziale, non può da questo essere distinto mediante nessun esperimento fisico.



Così, per proteggere l'equipaggio dagli effetti micidiali dell'accelerazione, questa deve essere estremamente lenta: si tenga conto che una banalissima accelerazione da 2g comporta che l'astronauta sperimenti su di sé una forza pari al doppio del proprio peso, sinché dura l'accelerazione, con intuibili conseguenze sull'apparato scheletrico, muscolare, cardiocircolatorio. Ed è facile immaginare cosa succederebbe in caso di manovre di emergenza obbliganti a brusche variazioni di velocità o direzione. La conseguenza è che il viaggio deve comunque durare diversi anni, prima di raggiungere la velocità di crociera o di decelerare a velocità compatibili con l'arrivo alla destinazione: anni percepiti effettivamente come tali, giacché la gradualità dell'accelerazione comporta che gli effetti relativistici di dilatazione del tempo divengano significativi solo dopo parecchio tempo dalla partenza. Ma il peggio arriva quando la velocità diventa elevata: lo spazio, come è noto, è molto meno "vuoto" di quanto si riteneva un tempo; pulviscolo, micrometeoriti, semplici particelle subatomiche, tutta roba quasi innocua a basse velocità, si trasforma con l'accelerazione in una pioggia mortale di proiettili e radiazioni ionizzanti ad elevato potere penetrante, in grado di danneggiare gravemente lo scafo e di renderlo pericolosamente radioattivo per gli occupanti. Ricordiamo che la quantità di moto associata ad uncorpo in movimento, che si trasforma in energia al momento dell'impatto, è pari al prodotto della massa per la velocità (q = mv). Ne consegue che una piccola massa diviene assai pericolosa se impattata a velocità elevata.

Anche questo problema potrebbe essere risolto dai deflettori di navigazione ma, al pari di quanto detto per gli ammortizzatori inerziali, si tratta di una tecnologia difficilmente sviluppabile da una società pre-curvatura.


Approfondimento 8 - Deflettori di navigazione
Il deflettore di navigazione è un complesso dispositivo avente la funzione di liberare lo spazio attraversato dalla nave da materiale e particelle in grado di arrecarle danno. Esso emette un flusso di warpers (particelle portatrici di forza repulsiva: vedi oltre nel testo) nella direzione di avanzamento della nave e per un volume pari a 2,5 volte la sagoma frontale della nave. Le masse inferiori ad un determinato valore (dipendente dalla potenza del deflettore e dalla classe della nave) vengono deviate su traiettorie iperboliche, non intersecanti quella della nave; le masse non efficacemente deviabili potrebbero venire evitate mediante correzioni di rotta adottare automaticamente dal computer di navigazione. La particelle elettricamente cariche vengono deviate da campi magnetici aventi uguale polarità (la polarità viene modificata in base alla distribuzione delle particelle nella regione di spazio attraversato). Ricordo ai lettori, che stanno storcendo il naso pensando che tutto ciò sia impossibile, che scienziati inglesi hanno dimostrato il contrario, riuscendo a stabilire una data entro cui verrà creato il primo prototipo.


Da quanto detto, insomma, appare evidente come la propulsione a impulso, pur indispensabile per gli spostamenti a breve raggio e le manovre orbitali, sia assolutamente inidonea al volo interstellare. Un viaggio con tale tipo di propulsione costituisce essenzialmente un esperimento scientifico, e spesso è un'importante tappa nel progresso tecnologico della maggior parte delle civiltà evolute, ma non muta la condizione di isolamento del mondo che lo sviluppa, né può avere significative applicazioni sul piano commerciale e sociale. Solo la propulsione a curvatura, o meglio il complesso di nozioni e tecnologie che essa comporta, consente di aggirare gli inconvenienti visti e aprire alla specie che la sviluppa le porte della comunità interstellare. Non a caso la Prima Direttiva (di Star Trek, ndR) considera idonee al Primo Contatto solo le civiltà che abbiano sviluppato tale tecnologia.

È ora, pertanto, di entrare in curvatura!
 
La struttura dello spazio

La propulsione a curvatura può essere definita in questo semplice modo: mentre nella propulsione a impulso si sposta la nave nello spazio, in curvatura si "muove" lo spazio attorno alla nave! Per la precisione, si comprime lo spazio nella direzione di avanzamento della nave, e lo si espande nella direzione opposta.

Come è possibile "comprimere" o "espandere" lo spazio? Occorre chiarire, a questo punto, cos'è esattamente (o quasi) lo spazio. Si tratta, in verità, di un concetto estremamente complesso, sia dal punto di vista fisico-matematico che da quello filosofico. Cominciamo dalla nozione più elementare, che definisce lo spazio come distanza tra due corpi (o punti). Si tratta di una definizione banale solo in apparenza, perché contiene una verità fondamentale: lo spazio esiste solo in presenza di materia (o energia), non è concepibile uno spazio "vuoto": se dall'universo, con un qualche procedimento fantastico, potessimo rimuovere tutta la materia e l'energia esistente, non avremmo un universo vuoto, ma, al contrario, non esisterebbe più l'universo (a patto di sparire anche noi). Una delle fondamentali acquisizioni della fisica relativistica è difatti che lo spazio ha una "struttura", ha delle "dimensioni", e non deve essere pensato in antitesi alla materia-energia, come una sorta di fondale in cui la massa recita da attrice principale; la materia, l'energia, le particelle in realtà sono "spazio concentrato", o più tecnicamente "dimensioni collassate". Ma un passo alla volta: torniamo alla struttura dello spazio. Come appena detto, lo spazio presuppone l'esistenza di materia-energia; niente materianiente spazio. Dal punto di vista strettamente intuitivo, appare ovvio che non si possa parlare di distanza tra A e B se A e B non esistono (benché la realtà sia molto più complessa). Lo spazio è "creato" dalla materia, la quale non è altro che un particolare "tipo" di spazio.


Approfondimento 9 - Lo spazio
Una delle problematiche fondamentali che hanno agitato le filosofie delle varie specie è se lo spazio abbia o meno un'esistenza oggettiva, se sia cioè insito nella natura dell'esistente, ovvero sia una semplice tecnica adottata dagli esseri senzienti per "ordinare" la loro percezione della realtà. La fisica ha da tempo chiarito la natura oggettiva dello spazio, che esiste indipendentemente dalla percezione che ne ha un qualsivoglia essere senziente.


Facciamo un altro passo, e parliamo di tempoDefinire il tempo non è meno arduo che definire lo spazio, e solitamente le definizioni peccano di tautologia, giacché definiscono il tempo come durata o intervallo tra due eventi, senza riuscire a chiarire che cosa sia la "durata". Una prima osservazione che si può fare, però, è che, al pari dello spazio, anche l'esistenza del tempo richiede materia-energia; perché ci sia un "prima" e un "dopo" è necessario che ci si riferisca a "qualcosa" (di diverso dal tempo stesso), ad un "evento". Spazio e tempo sono accomunati, nella loro esistenza, dalla necessità dell'esistenza della materia: niente materia, niente tempo, niente spazioSpazio e tempo hanno però un legame ben più stretto, accertato fin dalla nascita della fisica relativistica; legame talmente stretto da far considerare il tempo una delle dimensioni dello spazio: si parla, difatti, di spazio-tempo. Per capire come possano essere legati dei concetti che, apparentemente, non hanno niente in comune, pensiamo ad un oggetto qualunque: appare evidente che tale oggetto occupa una posizione ben definita nello spazio, che può essere determinata con precisione indicando le distanze da una serie di punti di riferimento (ad esempio, un tavolo in una stanza avrà una certa altezza rispetto al pavimento e una certa distanza dalle pareti). Tuttavia tale oggetto, pur se in ipotesi immobile, in realtà si sta spostando attraverso il tempo; esso esisteva prima dell'osservazione, a partire dal momento in cui fu creato, ed esisterà dopo l'osservazione, sinché non verrà distrutto. In altre parole, qualunque cosa, oltre che esistere (e muoversi) nello spazio, esiste (e deve muoversi) anche nel tempo. Se così non fosse, se l'oggetto fosse "immobile" nel tempo, esso esisterebbe solo per un istante infinitesimo, per poi sparire nel nulla (e ciò è impossibile per il principio di conservazione dell'energia). Il tempo, insomma, può essere considerato una dimensione dello spazio, anche se dotata di particolarità tutte sue (muoversi nello spazio non è come muoversi nel tempo).



Si è accennato, in precedenza, alle "dimensioni" dello spaziocosa e quante sono le dimensioniNon è facile rispondere a questa domanda. Si possono comunque descrivere le dimensioni come gli elementi strutturali dello spazio, i "mattoni" che lo costituiscono. Alcune di esse sono ben note: altezzalarghezzaprofonditàtempo. Oltre a queste, però, ne esistono molte altre, che non sono percepibili sensorialmente in quanto esistenti a livello subatomico, ma presiedono a fenomeni subatomici fondamentali per l'esistenza dell'universo come lo conosciamo. Le dimensioni dello spazio-tempo si dividono in due categorie: quelle bosoniche e quelle fermioniche (il linguaggio è ereditato dallaTeoria delle Stringhe). Le prime (circa una trentina) consentono degli spostamenti simili a quelli a cui siamo normalmente abituati, nel senso che le condizioni dell'oggetto (ad es., una particella) al termine dello spostamento sarannodifferenti rispetto a quelle di partenza. Nelle seconde (circa una decina) sono possibili spostamenti senza che l'oggetto modifichi le proprie condizioni iniziali.



Torniamo dunque al problema iniziale: come comprimere ed espandere lo spazio? La meccanica relativistica descrive lo spazio-tempo come entità quadridimensionale curva. La realtà è più complessa, poiché lo spazio ha infinite dimensioni, ma poiché tutte le altre sono come "arrotolate" su scala subatomica possiamo, almeno per il momento, non tenerne conto.


Il fatto che lo spazio sia curvo e "plasmabile" ha delle importanti conseguenze per i nostri fini, perché in tale tipo di spazio le distanze non sono "assolute" e la via più breve tra due puntinon è necessariamente una retta. Per visualizzare intuitivamente la struttura dello spazio possiamo ricorrere ad un semplice esempio: immaginarlo come un foglio di gomma molto elastico. Su tale foglio poggiano le varie massedell'universo, particelle, pianeti, stelle ecc. Tali masse "deformano" il foglio di gomma, in misura dipendente dalla loro entità (masse maggiori produrranno una "curvatura" maggiore). Abbiamo perciò scoperto che è la gravità amodellare lo spazio, il quale risulta più curvo nelle regioni prossime a masse elevate. La gravità è perciò lo "scalpello" che modella lo spazio. A questo punto è chiaro perché si parla di curvatura: essa è precisamente ciò che indica tale termine, una "deformazione" (warpdello spazio indotta da un campo gravitazionale. Ma cosa succede, esattamente, curvando lo spazio?



Qualunque massa, come visto, è in grado di curvare lo spazio: poiché non può esistere spazio senza massa, ne deriva che lo spazio è sempre e necessariamente curvo, benché la curvatura sia maggiore in prossimità delle masse e minore (in ragione del quadrato della distanza) man mano che ci si allontana da esse.


Approfondimento 10 - Campi gravitazionali
Si ricorda che, in base alla legge di Gravitazione Universale, il campo gravitazionale (al pari di quello elettromagnetico), ha intensità direttamente proporzionale al prodotto delle masse e inversamente proporzionale al quadrato della distanza:
m1 x m2
F = ______________    
x G
r2

dove G è la costante di gravitazione universale



Qualunque massa o onda in movimento nello spazio deve seguirne necessariamente la geometria: quando una massa o un'onda entrano in una regione dello spazio caratterizzata da una particolare curvatura, devono necessariamente percorrerne la struttura. In tal modo è stata giustificata l'attrazione gravitazionale: poiché lo spazio si incurva sempre di più in prossimità di una massa, un corpo entrato in tale regione deve dirigersi verso la massa deformante, percorrendo il "baratro" gravitazionale da essa creato (a meno che non sia in possesso di una velocità sufficiente per "uscirne"). Appare, quindi, evidente che, poiché lo spazio non ha una struttura fissa ed immodificabile, è possibile "plasmarlo" in modo da adeguarlo alle nostre esigenze. Se vogliamo, ad esempio, percorrere una grande distanza in tempi brevi, possiamo comprimere lo spazio tra il punto di partenza e quello di arrivo (senza spostare questi ultimi, per i motivi che si vedranno). In questo modo non sono più necessarie velocità elevate, e comunque irraggiungibili: è come se prendessimo una scorciatoia nello spazio stesso, una sorta di galleria, che ci consente di evitare la scalata della montagna.



Detto così, ovviamente, è troppo semplice e troppo bello, per essere vero. Vediamo quali sono i terribili problemi da affrontare e come possono essere risolti.



Come curvare a piacere lo spazio


Prima di affrontare il problema di come curvare lo spazio secondo i nostri comodi, vediamo cosa succede in natura. Cominciamo col dire che le curvature prodotte da masse non certamente trascurabili, come pianeti e stelle, sono del tutto insufficienti per i nostri scopi: ad esempio, la massa di una stella di tipo G (come il Sole della Terra) è in grado di deflettere un raggio di luce di circa un millesimo di grado. Ma a noi servono curvature enormemente superiori. Noi non vogliamo semplicemente "piegare" lo spazio, ma "accartocciarlo". Ci servono perciò curvature ben maggiori di quelle prodotte dalle stelle. Dove prendere la massa (o l'energianecessaria, se persino quella del Sole risulta insufficiente?



Esistono però in natura curvature dello spazio ben maggiori di quelle prodotte dalle stelle: si tratta delle singolarità, ossia di regioni dello spazio-tempo caratterizzate da un intenso campo gravitazionale, imprimente unaconfigurazione "a cuspide", una sorta di baratro. In altre parole, la curvatura in una singolarità è talmente accentuata che le distanze sono ridotte ad un valore prossimo allo zero, mentre il tempo scorre ad un ritmo pressoché infinito. Singolarità che si trovano, solitamente, al centro di buchi neri (stelle di grande massa collassate, dotate di un campo gravitazionale talmente intenso da non consentire neppure l'emissione di luce). Sembrerebbe quindi che, se devo recarmi da A a B e nel tragitto trovo un buco nero, potrei usare lo stesso per accorciare il viaggio, dal momento che nella singolarità lo spazio è compresso sin quasi ad un valore nullo. Sconsiglio vivamente gli aspiranti navigatori spaziali dal compiere una simile impresa: ci sono forme di suicidio meno complicate, e non implicanti la distruzione di una costosa nave spaziale. Ma a noi serve proprio una curvatura del tipo di quelle generate dallesingolarità!



Torniamo al punto di partenza: come curvare lo spazio? Con la gravitàCos'è che genera la gravità, o se si preferisce i gravitoni, le particelle portatrici della forza gravitazionale? La massa. Per avere il campo gravitazionale di una stella devo per forza disporre della massa di una stella? No! E' qui che risiede l'inizio della soluzione dei nostri problemi. In natura, il campo gravitazionale ha simmetria sferica: si estende uniformemente in tutte le direzioni,con intensità decrescente (in proporzione quadratica) rispetto alla distanza dalla sorgente. Per i nostri fini, questo è un enorme spreco! In natura è bene che le cose vadano così, perché l'universo come lo conosciamo non potrebbe certamente esistere (e noi con lui) se la gravità operasse in una sola direzione. Ma a noi non interessa curvare un enorme volume di spazio, bensì agire solo nella zona che intendiamo attraversare. La radiazione elettromagnetica si comporta, per certi aspetti, come il campo gravitazionale: anch'essa ha simmetria sferica, anch'essa ha intensità decrescente con il quadrato della distanza. Ma le specie evolute hanno, da molto prima del saper viaggiare nello spazio, appreso come "piegare" la radiazione EM alle proprie necessità, ottenendo onde propagantesi in una direzione prefissata, o luce monocromatica (laser, maser ecc.). La stessa cosa si potrebbe fare con la gravità, mediante la polarizzazione gravitazionale. È possibile porre onde gravitazionali in concordanza di fase ed ottenere delle emissioni coerenti, in modo da creare treni d'onda a propagazione lineare, proprio come facciamo con le onde radio.


Approfondimento 11 - Concordanza di fase
Due onde sono dette in concordanza di fase quando, ad un dato istante t, sono entrambe nella stessa fase, crescente o decrescente. In tal caso l'energia delle onde si somma, ossia è come se vi fosse una terza onda avente come energia trasportata complessiva la somma delle altre due.



È noto che particolari leghe metalliche contenenti elementi transuranici di elevatissimo peso atomico (cortenide di verteriothoronium arkenide) possono emettere gravitoni in condizioni particolari (la cortenide di verterio se esposta a plasma ad alta energia, il thoronium arkenide se posto in rotazione a velocità elevate, in un ambiente di gas chrylon e applicando un'opportuna differenza di potenziale). La caratteristica fondamentale di questeleghe è il consentire la trasformazione, con rendimento piuttosto elevato (intorno al 70%) della forza elettromagnetica in forza gravitazionale. Conversione resa vantaggiosa dal fatto che la forza elettromagnetica haintensità ben superiore a quella gravitazionale (il debolissimo campo magnetico della maggior parte dei pianeti di classe M è sufficiente a spostare l'ago di una bussola, vincendo l'attrazione gravitazionale). Con procedimenti particolari (che verranno trattati in maniera sintetica in seguito) è possibile fare in modo che l'emissione di gravitoni avvenga unicamente lungo una direzione prefissata, e con frequenze predeterminate. I gravitoni artificiali sono detti verteroni. Le onde gravitazionali così emesse sono poste in concordanza di fase, in modo che l'energia della successiva si sommi a quella della precedente, e si concentri in un ristretto volume di spazio. È così possibile realizzare un campo gravitazionale di elevata intensità e limitata estensione, senza dovere disporre della massa necessaria per ottenerne uno di analoga intensità in modo "naturale". A questo punto è evidente che, facendo in modo che il campo gravitazionale (di intensità analoga a quello esistente nelle singolarità) si formi nella direzione di avanzamento della nostra nave, esso provvederà innanzitutto a comprimere la regione di spazio che ci accingiamo ad attraversare, e in secondo luogo si sposterà con la nave stessacomprimendo regioni di spazio poste in successione, senza soluzione di continuità. Tale risultato, però, rappresenta solo il primo passo, fondamentale ma insufficiente. Il nostro campo gravitazionale portatile e regolabile ha sempre i difetti dei suoi colleghi naturali: la sgradevole tendenza a fare a pezzi noi e la nostra povera nave, incurante del fatto che siamo i suoi genitori, e l'effetto relativistico di dilatazione temporale. Che cos'altro serve, allora, per realizzare un campo di curvatura utile ai nostri scopi?


Il campo di curvatura

Per poter sfuggire al pozzo gravitazionale creato davanti alla nostra nave per comprimere lo spazio davanti a noi, è necessario creare un "antipozzo" dietro, in modo che la compressione venga bilanciata dall'espansione (che dovrà avere pari intensità e "segno" opposto) e la nave venga sospinta su tale "onda" di spazio-tempo modificato, passata la quale lo spazio tornerà alla sua struttura normale. Comprimendo lo spazio nella direzione anterioreriduciamo la distanza dal punto di arrivo, ossia ci "avviciniamo" (benché, lo si ripete, la posizione del punto di arrivo non muta, poiché operiamo solo sullo spazio intermedio); espandendo lo spazio nella direzione opposta, invece, ci "allontaniamo" dal punto di partenza, sfuggendo al baratro gravitazionale creato davanti a noi (senza necessità di alcuna accelerazione). La regione compresa tra il fronte di compressione e quello di espansione è detta, con espressione pittoresca, bolla di curvatura, e mantiene le condizioni di un qualunque sistema di riferimento in moto alla stessa velocità. In altre parole, le masse ivi presenti non subiscono né gli effetti relativistici sopra descritti (aumento di massa, dilatazione del tempo ecc.), né effetti inerzialipoiché la velocità posseduta precedentemente all'ingresso in curvatura non muta. Così come la compressione locale dello spazio viene realizzata mediante emissioni di treni di onde gravitazionali coerenti, l'espansione nella regione opposta viene ottenuta tramite emissioni coerenti di warpers, particelle bosoniche vettori della forza repulsiva, che agiscono come una sorta di gravità negativa. La loro "gestione" nel campo di curvatura è in buona parte analoga a quella dei gravitoni: normalmente, per ottenere una significativa quantità di warpers sarebbe necessario disporre di concentrazioni di massa elevatissime, persino superiori a quelle richieste per i campi gravitazionali delle singolarità. Nel campo di curvatura, tuttavia, gli warpers si formano come "sottoprodotto" della creazione dei treni d'onda gravitazionali coerenti, e tendono a muoversi nella direzione opposta: un'elevata concentrazione di gravitoni polarizzati, generati dal punto P e concentrati ad una distanza D da esso, produce un'analoga concentrazione di warpers ad una distanza D da P, ossia dalla parte opposta. In P, che poi sarebbe la nostra astronave, il campo gravitazionale è "normale", ossia identico a quello locale, non generato dal campo di curvatura. Andando in avanti, seguendo il treno d'onda di gravitoni, il campo gravitazionale aumenta d'intensità, sino a raggiungere il valore massimo, detto CUP (Curvatura Utile Positiva) nella regione in cui i treni d'onda entrano in concordanza di fase. Dall'altra parte, viceversa, il campo di espansione raggiunge il valore massimo nella regione in cui gli omologhi treni di warpers coerenti entrano a loro volta in concordanza di fase; il campo di espansione raggiunge in tale punto il valore massimo, detto CUN (Curvatura Utile Negativa). Esiste però un problema: la forza repulsiva opera su un ordine di grandezza inferiore rispetto a quella gravitazionale. Per la precisione, o meglio per fornire un'approssimazione accettabile in questa sede, il rapporto tra le due forze è pari a circa 1/1000: se occorre un'energia E per produrre un campo gravitazionale di una data intensità, occorrerà circa 1000 volte quell'energia per produrre un campo di espansione (o repulsione che dir si voglia) di intensità analoga, ossia in grado di produrre un'espansione bilanciante esattamente la compressione. A ciò si pone rimedio con due sistemi: in primo luogo alterando la simmetria del campo, e precisamente facendo in modo che il CUN abbia una distanza dalla sorgente pari a circa 1/10 di quella del CUP. In secondo luogo, mediante un treno d'onda supplementare di warpers, che posto in opportuna concordanza di fase con quello principale fa assumere al CUN il valore necessario per bilanciare la compressione generata dal CUP. Peraltro, non è necessario che CUP e CUN abbiano valori (in modulo) identici, esiste un margine di tolleranza che non influisce significativamente sull'effetto "propulsivo", margine che però si riduce al crescere della tensione del campo di curvatura, e tende a 0 all'approssimarsi del limite teorico di curvatura 10.



Quando però il margine di tolleranza non viene rispettato, e supera il valore soglia oltre il quale la contrazione dello spazio non è più bilanciata dall'espansione, si verifica l'"effetto cavitazione". Per comprendere appieno l'effetto cavitazione, occorre precisare che, all'interno del campo di curvatura, la costante gravitazionale assume un valore inferiore al normale. La massa inerziale della nave, di conseguenza, è molto inferiore a quella posseduta in condizioni normali. La nave, tuttavia, conserva per inerzia la velocità posseduta al momento dell'ingresso in curvatura. Poiché tale velocità è di solito pari ad una frazione significativa di quella della luce (in ragione dell'uso della propulsione ad impulso nelle fasi di allontanamento e avvicinamento ai pianeti), quando la nave entra in cavitazione la spinta inizialmente posseduta fa accelerare la nave a velocità prossime a quella della luce, come se fosse diventata improvvisamente "più leggera". Un'ulteriore accelerazione viene impressa alla nave dal CUP, che, non più bilanciato correttamente dal CUN, esercita una forte attrazione gravitazionale, applicando sulla nave una forza che, in base alla seconda legge della Dinamica, ne incrementa la velocità. La nave si trova pertanto esposta a subire i noti effetti relativistici delle alte velocità (dilatazione del tempo, contrazione delle lunghezze). Si rende perciò necessario che ilcomputer di bordo, in caso di cavitazione, interrompa immediatamente l'iniezione del plasma nelle bobine delle gondole, con conseguente collasso del campo di curvatura. La nave riacquista gradatamente la massa inerziale "normale", e la velocità diminuisce sino al valore precedente l'ingresso in curvatura (il tempo necessario è pari, mediamente, a circa 30 secondi). Sempre per motivi di sicurezza, i controlli di volo dovrebbero venire disabilitati (una virata imporrebbe alla nave severissimi stress strutturali), per cui eventuali oggetti che si trovano sulla traiettoria della nave, che non possano essere deviati dai deflettori di navigazione a causa della grande massa (ad esempio, piccoli asteroidi) devono essere immediatamente distrutti.



Torniamo al campo di curvatura. Poiché esso produce tensioni gravitazionali elevatissime, appare ovvio che debba essere generato ad una distanza di sicurezza dalla nave. Le gondole, contenenti le bobine generatrici del campo, sono solitamente collocate ai lati della nave, ad una distanza tra loro non inferiore a 0,8 volte la larghezza del resto dello scafo (una distanza leggermente superiore è ammessa per navi più piccole, in ragione della bassa potenza del campo warp), e posizionate in modo che i treni d'onda emessi non entrino in contatto con le strutture dell'astronave. La propulsione a curvatura deve inoltre essere attivata in regioni di spazio quanto più vuote possibile, e ciò per una serie di ragioni. Innanzitutto, la compressione dello spazio implicherebbe consumi energetici immensamente elevati qualora la regione ove si forma il CUP non fosse (ragionevolmente) vuota: la compressione della materia (che, lo si ricorda, è già "spazio-tempo compresso") è infatti molto più difficile di quella dello spazio vuoto, anche per effetto della Forza Repulsiva, per cui i motori si surriscalderebbero rapidamente oltre i limiti di sicurezza. Va poi considerato che il CUP è pur sempre un campo gravitazionale, e di intensità elevatissima; di conseguenza, ove lo spazio non fosse vuoto, le masse circostanti, specie se modeste, verrebbero attirate con enorme forza e scagliate contro la nave, con conseguenze facilmente immaginabili. Non solo: le tensioni gravitazionali farebbero a pezzi tali masse per "effetto marea", ed è chiaro quali sarebbero le conseguenze se si trattasse di navi spaziali. Usare il campo warp come armanon è comunque vantaggioso, perché la pioggia di detriti accelerati ad altissima velocità (tra cui il nucleo di curvatura e le riserve di antimateria della nave distrutta!) renderebbe decisamente breve, ed assai cara, la vittoria ottenuta!


Approfondimento 12 - Effetto marea
La gravità agisce, come è noto, in ragione inversamente proporzionale al quadrato della distanza: ne consegue che due o più masse si attireranno con più forza nelle regioni tra loro più vicine e con meno forza nelle regioni più lontane. A ciò si dà il nome di "forze di marea" perché è il meccanismo con cui si formano le maree, in ragione dell'attrazione gravitazionale differenziata che una stella esercita sulle masse d'acqua dei pianeti del suo sistema e che, unitamente all'attrazione di eventuali satelliti, causa periodiche variazioni del livello delle acque.


La velocità di curvatura



L'unità di misura dell'intensità del campo di curvatura è il cochrane (C), in omaggio allo scienziato terrestre Zephram Cochrane, inventore del motore a curvatura (secondo la timeline di Star Trek). Per misurazioni maggiormente accurate viene utilizzato il sottomultiplo millicochrane (mC), pari a 1/1000 di cochrane. Si assume pari ad un cochrane un campo di curvatura che produca una velocità virtualmente pari a quella della luce. Si parla di velocità virtuale in quanto, come visto, la propulsione curvatura opera sullo spazio-tempo, non sulla nave: il termine velocità è dunque usato in modo atecnico, per descrivere l'effetto propulsivo del campo warp. In pratica, si adotta il punto di vista di un ipotetico osservatore esterno, il quale "vede" la nave spostarsi a velocità pari o superiori a quella della luce, non essendo solidale col sistema di riferimento rappresentato dalla nave stessa. E' superfluo dire che si tratta di un paragone fittizio, dal momento che un oggetto in moto a velocità superiore a quella della luce è ovviamente invisibile. La velocità curvatura viene espressa in multipli della velocità della luce.

L'effetto propulsivo viene calcolato con una funzione cubica:



v = (aw3 + lambda) c



dove *v* è la "velocità di curvatura", *w* è il fattore warp, ossia il grado di compressione - espansione dello spazio determinato dal campo di curvatura ed espresso in cochrane, *a* è una costante, *lambda* assume valori diversi a seconda dei fattori warp, e viene determinato empiricamente, *c* è la velocità della luce in kms. Per w = 1 cochrane, come detto, la velocità di curvatura è pari a quella della luce, nel senso che l'effetto propulsivo consente di spostare la nave ad una velocità che, nello spazio normale, sarebbe pari a circa 300.000 kms, senza effetti relativistici apprezzabili. Per w = 2 cochrane, la velocità warp è pari a 10 volte quella della luce; per w = 3, v = 39c; per w = 4, v = 102c; per w = 5, v = 214c; per w = 6, v = 392c; per w = 7, v = 656c; per w = 8, v = 1024c; per w = 9, v = 1516c; per w = 9.6, v = 1909c; per w = 9.9, v = 3053c; per w = 9.99, v = 7912c; per w = 9.9999, v = 2377360c; per w = 10 la velocità è infinita, ossia il tempo di arrivo a destinazione è nullo. Si tratta di un limite teorico, irraggiungibile allo stato attuale delle conoscenze.




Curvatura e paradossi relativistici



La propulsione a curvatura consente di spostarsi in tempi brevi su distanze interstellari aggirando il limite relativistico della velocità della luce. Occorre a questo punto esaminare alcuni dei cosiddetti paradossi relativistici, connessi all'impossibilità del superamento della velocità della luce e al comportamento dei corpi materiali all'approssimarsi a tale velocità. Come si illustrerà in proseguo, si tratta di paradossi soltanto apparenti, e dovuti all'equivoco del confondere il limite c con l'impossibilità di inviare informazioni eludendo tale limite.



Causa-effetto

Cominciamo col principio del sovvertimento del rapporto causa-effetto. Supponiamo che sul pianeta X avvenga l'estrazione di una lotteria, e l'informazione sui numeri estratti debba essere trasmessa sul pianeta Y, distante un anno luce, dove si trova il giocatore interessato. Normalmente, il giocatore saprà quali numeri sono stati estratti un anno dopo l'effettiva estrazione, dal momento che l'informazione, trasmessa mediante radiazioni elettromagnetiche (mettiamo da parte le trasmissioni subspaziali), impiega questo tempo per raggiungerlo. Se però un viaggiatore spaziale, usando una nave a curvatura, gli comunica il risultato dell'estrazione prima del decorso dell'anno, ecco che il giocatore conosce un evento che ancora appartiene al "suo" futuro, e può cominciare a far spese... prima della vincita. Oppure, per fare un altro esempio, supponiamo che a 10 anni luce dal pianeta P esploda una supernova: gli abitanti di P sapranno dell'evento solo dopo 10 anni. Ma se il solito viaggiatore spaziale con nave a curvatura li va ad avvisare prima che la luce (e le radiazioni) della nova li raggiungano, ecco che consente loro di salvarsi da un evento che esiste solo nel "loro" futuro. In entrambi i casi, il paradosso consisterebbe nel fatto che le azioni del giocatore del pianeta Y e degli abitanti del pianeta P siano influenzate da eventi per loro ancora non accaduti. Difatti, poiché per la relatività classica nessuna informazione può essere trasmessa nell'universo a velocità superiore a quella della luce, i soggetti in questione non hanno alcun modo di conoscere gli avvenimenti citati, né di sapere della contemporaneità, rispetto al loro sistema di riferimento, dell'estrazione della lotteria o dell'esplosione della supernova. Alla base del paradosso sta l'asserita impossibilità, per osservatori molto distanti tra loro, di sapere se un dato evento sia o meno contemporaneo per entrambi. Questo perché nella relatività classica dall'insuperabilità della velocità della luce veniva desunto il corollario dell'impossibilità della trasmissione di informazioni a velocità superiore, sia pure in altro modo. Corollario che la propulsione warp ha dimostrato essere falso.

Da come sono costruiti gli esempi appare difatti chiaro che il paradosso è soltanto apparente. L'estrazione della lotteria e l'esplosione della supernova sono difatti avvenuti prima che l'informazione fosse ricevuta dagli interessati, per cuiil principio di causalità viene pienamente rispettato.



Spostamento Doppler e contrazione delle lunghezze

L'effetto Doppler è quel fenomeno in base al quale, data una sorgente di onde in moto rispetto ad un osservatore, questo percepisce un aumento della frequenza delle onde quando la sorgente si avvicina a lui e una diminuzione quando se ne allontana. Se si tratta di onde luminose, l'osservatore registrerà uno spostamento verso il violetto dello spettro della luce ricevuta in caso di avvicinamento della sorgente, e uno spostamento verso il rosso in caso di allontanamento. Le gondole di curvatura delle navi della Federazione emettono una caratteristica luce bluastra, dovuta all'emissione di fotoni aventi lunghezza d'onda di circa 4000 Angstrom, rappresentanti un innocuo residuo del processo di generazione del campo di curvatura. Osservando una nave che entra in curvatura, un osservatore fermo ai principi della relatività classica noterà immediatamente due fenomeni che appaiono contraddire le leggi della fisica: innanzitutto percepirà come bluastra la luce emessa dalle gondole, mentre in base all'effetto Doppler questa, al pari delle luci di navigazione e di quella proveniente dagli oblò della nave, dovrebbe apparire decisamente rossastra (considerato il fatto che la nave "accelera" in pochi istanti a "velocità" estremamente alte). In secondo luogo osserverà la nave "allungarsi" nella direzione dell'accelerazione, in netto contrasto col il principio relativistico della contrazione delle lunghezze nel senso del moto. La chiave di tali paradossi consiste nell'espansione dello spazio determinata dal campo di curvatura. L'osservatore che percepisce la nave allontanarsi si trova, ovviamente, nella regione interessata dal campo di espansione: le onde luminose che viaggiano nello spazio espanso subiscono, per effetto dell'espansione, uno spostamento verso il violetto tale da compensare quello verso il rosso dovuto all'effetto Doppler. Per le stesse ragioni le immagini appaiono distorte, allungate nella direzione del moto. D'altra parte, poiché come detto più volte, la propulsione a curvatura non sposta la nave (che, al limite, potrebbe essere in quiete rispetto all'osservatore), non vi è alcuna contrazione relativistica nel senso del moto.



Effetto "stelle filanti"

Chi viaggia su navi a curvatura noterà il caratteristico e suggestivo effetto delle strisce luminose attorno alla nave. Secondo un osservatore fermo alla relatività classica, a bordo di una ipotetica nave in moto a velocità superluce non si dovrebbe vedere alcun panorama esterno, dal momento che le onde luminose provenienti dagli oggetti esterni non possono raggiungere la nave.

Sappiamo però che la nave non si muove, in realtà, più veloce della luce, per cui è senz'altro possibile la percezione del panorama esterno. Tuttavia, quando le onde luminose provenienti dall'esterno entrano nella zona di azione del campo di curvatura, subiscono una deviazione verso il CUP, a causa del forte campo gravitazionale. Di conseguenza, si ha un mutamento della posizione apparente della stella. Poiché il CUP si sposta insieme alla nave, l'osservatore a bordo vede mutare le posizioni apparenti delle stelle. La frequenza dei mutamenti, superiore ai 10 per secondo, è sufficiente ad impressionare la retina della maggior parte delle forme di vita umanoide, generando la percezione di una scia luminosa. L'effetto cessa con la disattivazione del campo di curvatura.



Curvatura e tunnel spaziali


Nelle singolarità quantiche la deformazione dello spazio-tempo raggiunge un livello talmente elevato da creare una sorta di pozzo gravitazionale. Per riprendere l'antico esempio citato in precedenza, si immagini lo spazio-tempo come un foglio di gomma. La masse dei pianeti e delle stelle provocano su tale foglio degli "infossamenti", tanto più profondi quanto maggiore è la massa deformante. Nel caso delle singolarità, l'infossamento è un vero e proprio "baratro". Che succede se tale baratro entra in contatto con un altro analogo? Se, in altre parole, le deformazioni dello spazio-tempo generate da due (o più) singolarità sono contigue? Si crea ciò che con espressione pittoresca viene definito "tunnel spaziale", una sorta di cunicolo nello spazio-tempo, in grado, teoricamente, di consentire l'attraversamento di vaste regioni dello spazio in tempi brevissimi.



Ci sono soltanto due piccoli problemi: in primo luogo i tunnel spaziali naturali sono fortemente instabili, e questo comporta il pericolo di essere distrutti dalle forze mareali di una delle singolarità prima di averli attraversati. In secondo luogo i campi gravitazionali delle singolarità, essendo molto ospitali, farebbero di tutto per non farci andare via (fortuna che abbiamo la propulsione a curvatura). Avventurarsi in un tunnel spaziale naturale può essere pertanto un'esperienza molto sgradevole. Ma nel caso in cui si riuscisse a "stabilizzare" un tunnel spaziale (ad esempio, mediante immissione di warpers per tenerlo aperto e di verteroni per impedire la scissione dei due "baratri" spaziotemporali), oppure a crearne uno artificiale (come quello nel sistema di Bajor, che attualmente è l'unico noto), avremmo realizzato un sistema di spostamento ancora più rapido della propulsione a curvatura, e non contrastante con la previsioni della relatività, se non per il fatto di consentire la trasmissione di informazioni aggirando il limite della velocità della luce. Ci sono però altri problemi. I campi gravitazionali delle singolarità hanno effetti anche sul tempo, e un viaggio in un tunnel spaziale rischierebbe di condurci in un'epoca diversa da quella di partenza. Effetto che non è possibile prevedere con esattezza, sino a quando la tecnologia non consentirà di produrre tunnel artificiali del tutto controllabili. Per inciso, si ritiene che la propulsione transcurvatura utilizzata dai Borg utilizzi tunnel spaziali artificiali, all'interno dei quali è possibile raggiungere velocità di curvatura prossime a 10. Inoltre le estremità del tunnel non sono certo fisse nello spazio, si spostano in continuazione, pertanto il tunnel ha entrate e uscite sempre diverse. Riassumendo, nella propulsione a curvatura si ha una distorsione temporanea e localizzata dello spazio-tempo, nei tunnel spaziali la distorsione èpermanente, e dura sinché dura il tunnel.



Il motore a curvatura



In questa trattazione non é affrontato, nel dettaglio, la struttura del motore a curvatura, poiché lo scopo è solamente quello di illustrare in via teorica il funzionamento e le dinamiche correlate alla teoria di curvatura.





N.B.: il presente  testo  è  basato  sul  "Breve  saggio  sulla  propulsione  a  curvatura"  di   Salvatore 
          Carboni.


P.S.: fantasia ed immaginazione riposano in un luogo che sembra immateriale, ma che é altrettanto tangibile 
         quanto la nostra realtà, un regno di mezzo che assicura la comunicazione fra il concreto e l'astratto e 
         che é, nello stesso tempo, materia e spirito, illusione e narrazione e pone le basi per la realtà del
         domani. 

Bibliografia e fonti



La fisica di Star Trek, di Laurence Krauss, edizioni Longanesi.

Dio non gioca a dadi, di Walter Cassani, edizioni Demetra.

Dal Big Bang ai buchi neri, di Stephen Hawking, BUR Rizzoli.

Scienza ed emergenze planetarie, di Antonino Zichichi, BUR Rizzoli.

Su tale argomento: L'ILLUSIONE DEL TEMPO (Video National Geographic).